Il testo documenta la presentazione esposta a Nuoro, nei locali dell’Università, in occasione della lectio magistralis tenuta il 31 ottobre 2018 dal Prof. Orazio la Marca
Il testo che segue documenta la presentazione esposta a Nuoro, nei locali dell’Università, in occasione della lectio magistralis tenuta il 31 ottobre 2018. Il giorno precedente si è svolto un sopralluogo nei cedui di Seneghe che ha offerto l’occasione per avviare in bosco la riflessione sul tema dell’incontro. Prima della lectio, in occasione del centenario dalla nascita del prof. Mario Cantiani, si è dedicato del tempo al ricordo della sua figura di uomo e di studioso, acuto quanto sensibile, nei rapporti con colleghi e collaboratori. La presentazione, riportando alla memoria i principali risultati pubblicati nel corso di oltre 40 anni di ricerche, compone un quadro approfondito di una tematica ancora oggi oggetto di prese di posizione non realmente fondate su evidenze sperimentali di questa solidità.
Dopo aver ricordato la figura del Prof. Mario Cantiani, illustre Maestro della Scuola forestale italiana, nel centenario della nascita, parliamo di cedui.
Chi vi parla ha dedicato ai cedui una parte importante della sua attività scientifica. È un tipo di bosco che ha destato in me un particolare interesse da sempre, nonostante che verso la fine degli anni '70 e per tutti gli anni '80 chi si occupava di ceduo era figlio di un Dio minore. Era l'epoca in cui tutti erano convinti che il ceduo sarebbe scomparso. Questo perché il ceduo si origina da un intervento traumatico, non è naturale, era (e lo è ancora oggi) in contrasto con un dato modo di concepire la tutela della natura. In quegli anni si faceva a gara a chi lasciava più matricine per ettaro, con un comportamento secondo me deontologicamente censurabile, in quanto in modo surrettizio si voleva ottenere di fatto una conversione ad alto fusto. Ricordo molto bene una discussione con un mio compagno di corso, che era diventato responsabile dei servizi forestali di una Provincia, il quale diceva: «ma Orazio, ancora dietro ai cedui vai!, il ceduo è finito, non ha più ragione di essere, lo vedi che ormai tutti lasciano più di 200 matricine ad ettaro?». Questo voleva dire che dopo 20-30 anni dal suddetto trattamento, in spregio alle norme forestali che non hanno messo al bando il governo a ceduo e in spregio al diritto da parte dei proprietari di assumere decisioni in questo ambito, la conversione doveva essere un fatto compiuto. Io non ero convinto. La mia esperienza, i risultati di alcune ricerche sul potere regimante e di difesa idrogeologica di alcuni cedui, i cattivi risultati che era possibile registrare in alcune conversioni ad alto fusto, portavano a considerare il governo a ceduo come l’unica opzione, in determinate situazioni pedologiche e vegetazionali, per la salvaguardia della copertura boschiva. Il riferimento più eclatante era (ed è) rivolto alla moltitudine di orno-ostrieti su substrati calcarei, su substrati dominati da rocce calcaree affioranti e campi carreggiati, in cui il degrado del suolo era stato determinato da reiterata eccessiva pressione antropica, dal pascolo abusivo, soprattutto nei primi anni dopo il taglio del ceduo, e dagli incendi. In queste situazioni, in conseguenza della conversione ad alto fusto, è possibile registrare diffusi disseccamenti di branche delle chiome delle matricine, accrescimenti stentati soprattutto dopo alcuni anni dalla conversione, prevedibili difficoltà di realizzare la rinnovazione gamica una volta raggiunta la maturità. Il discorso, mutatis mutandis, interessa i cedui monospecifici di leccio, dicioccati fino all’ultimo taglio effettuato a cavallo dell’ultimo conflitto mondiale in vaste zone dell’Italia meridionale, oppure le conversioni operate su cedui di roverella in stazioni con rocce affioranti e fertilità del suolo scadente. Considerando i boschi di leccio ad esempio, grazie all’incredibile resilienza della specie, venute meno le cause che hanno determinato l’eccessivo sfruttamento, in molti casi è possibile riscontrare oggi dense leccete tendenzialmente monospecifiche, con accumuli provvigionali fino a 200 m2/ha all’età di 40 anni.
L’osservazione attenta di molte situazioni sopra descritte, a parte le considerazioni sull’importanza economica e sociale del ceduo in alcune comunità rurali, nelle aziende agricole e, più in generale, nei boschi di proprietà privata, portano a considerare il governo a ceduo una realtà ancora attuale e il mezzo per favorire un processo di graduale ricostituzione del suolo, di adozione di turni adeguati alle differenti situazioni, di graduale rinaturalizzazione di questi boschi e di arricchimento della biodiversità. Si tratta di un percorso che presuppone una differente cultura del bosco rispetto a quanto è avvenuto in un passato caratterizzato da condizioni sociali, economiche e culturali molto diverse da quelle che oggi viviamo. E’ convinzione di chi scrive che soltanto dopo che si saranno raggiunti i risultati sopra accennati sarà possibile operare scelte, su basi scientifiche, relative alla forma di governo da adottare, senza anatemi per la conversione ad alto fusto… …a condizione che ne ricorrano i presupposti.
Cercherò di fare una sintesi dei risultati di alcune ricerche e, soprattutto, di non essere noioso.
Farò brevemente alcune considerazioni, in parte anticipate durante l’escursione di ieri, sul governo a ceduo, sulla matricinatura, sul ceduo composto.
I miei primi interessi per il ceduo risalgono a prima degli studi all'università, quando mi ero occupato della contabilità di un lavoro eseguito su un ceduo all’epoca del liceo. Ho ritrovato il quaderno e ho dovuto constatare che nel 1968 un operaio agricolo in zona montana del meridione, quindi agevolata dal punto di vista dei contributi previdenziali, costava 2100 lire/giorno e un quintale di legna costava 700 lire. Quindi con tre quintali di legna si pagava la giornata di un operaio. Nel 1968 le motoseghe saranno state più pesanti e un po' più macchinose rispetto a oggi, ma i rendimenti, a parità di esecuzione delle operazioni di taglio, allestimento ed esbosco non sono cambiati in maniera sostanziale. Oggi nelle stesse condizioni ci vogliono almeno 15 quintali di legna per pagare un operaio. Questo è importante, lo dico soprattutto per i giovani, perché le scelte in selvicoltura vanno contestualizzate. Quando io ho proposto al prof. Cantiani di fare nel corso di un ciclo di una fustaia di faggio, non più nove o dieci interventi, ma soltanto tre o quattro non è che avevo avuto chissà quale intuizione. All’epoca degli studi del prof. Cantiani sulle faggete, si era agli inizi degli anni '60, i costi delle utilizzazioni e il prezzo della legna da ardere erano poco diversi da quelli dianzi esposti. Probabilmente con il ricavato dalla vendita di due quintali di legna si pagava una giornata di operaio. C'era soprattutto nel Meridione tantissima disoccupazione. Inoltre va considerato che l’Italia è stato fino all'ultima guerra un Paese prettamente agricolo, quindi tutta questa manodopera era in grado di tagliare il ceduo, cosa che oggi non si verifica più. Oggi la maggior parte della manodopera nel settore forestale è straniera.
Si può ritenere che la meccanizzazione e la realizzazione delle infrastrutture (soprattutto della viabilità) rappresentino l’unica risposta alla globalizzazione dei mercati e al miglioramento delle condizioni di lavoro degli addetti.
Quando sono arrivato all'Istituto di Assestamento forestale, era il primo settembre del 1975. La fotocopiatrice non l'avevano tutti gli Istituti ed era su carta termica, quella carta che emana un odore di ammoniaca e che, se esposta alla luce, dopo tempo si cancella. Noi ad Assestamento eravamo fortunati perché avevamo un Calcolatore Olivetti 101 che funzionava con programmi implementati su schede magnetiche, quindi avevamo un "cervello elettronico" per elaborare dati, per verificare linee di tendenza o per calcolare l’equazione di una funzione perequatrice, insomma per fare quello che oggi è possibile fare con un comune foglio di calcolo elettronico!
Il primo computer in Istituto lo ha portato il prof. Scotti che è stato il nostro punto di riferimento per il settore informatico.
Con Massimo Bianchi (all’epoca ispettore del CFS distaccato all’Istituto di Assestamento forestale) avevamo pensato di fare uno studio del tutto teorico sull’intensità della matricinatura di alcuni cedui di cerro prendendo in esame le ceppaie libere dall'aduggiamento delle matricine e le ceppaie che invece erano sotto l’area di insidenza delle matricine.
Poi abbiamo fatto delle simulazioni. Intanto avevamo qualche calcolatrice programmabile che ci ha aiutato nelle elaborazioni.
I risultati di questo studio teorico sull’intensità della matricinatura nei cedui di cerro del viterbese ha messo in evidenza che esiste a livello di popolamento una correlazione tra numero di matricine e sviluppo dei polloni. Anche la produzione legnosa, coeteris paribus, è influenzata dall’intensità di matricinatura [1].
Le attività sperimentali che hanno consentito di chiarire a me stesso (e spero di averlo chiarito anche a qualcun altro) le dinamiche del ceduo e le relazioni che intercorrono tra polloni e matricine, oltre ad avermi consentito di effettuare continue osservazioni di campagna e il tutoraggio di tesi di laurea, sono state principalmente:
una ricerca durata 17 anni su alcuni cedui di cerro in comune di Monte Romano in Provincia di Viterbo;
una ricerca monitorata per 14 anni su alcuni cedui di leccio sul Gargano;
alcuni studi alsometrici cedui di castagno in Campania;
un ceduo invecchiato di cerro sul Gargano.
È stato detto, chiunque si occupa di bosco lo sa, che da un ceduo si vuole ricavare soprattutto legna da ardere. Un tempo si diceva pure che dalle matricine si può ricavare qualche toppo da opera. Salvo che per la coltivazione del castagno, che in alcune zone fornisce ancora del materiale da opera (paleria, travi), in realtà in Toscana sono alcuni anni che si trita tutto (si riduce tutto in cippato) a prezzi che rendono veramente difficile anche l'utilizzazione di ottimi cedui di castagno.
E poi abbiamo il ceduo composto. Ieri vi ho esposto il mio pensiero a riguardo. In Italia, se escludiamo altre finalità che possono essere quelle paesaggistiche o, come era una volta nella fattoria toscana, l'alimentazione dei maiali, il ceduo composto può essere considerato una forzatura perché è nato da una cattiva trasposizione alla nostra realtà del "taillis sous futaie" praticato in Francia. In Italia infatti abbiamo cedui composti di cerro, di roverella, di leccio in cui i polloni e le matricine appartengono per lo più alla stessa specie. Allora ha poco senso questa particolare forma di governo, almeno da un punto di vista economico, tanto più nella situazione di mercato attuale in cui le matricine vengono destinate anch’esse a legna da ardere. Avere il ceduo nel piano dominato e “la fustaia” (che poi a ben vedere è sempre costituita da polloni invecchiati) costituita dalle stesse specie del ceduo, nel piano dominante rappresenta una scelta quantomeno discutibile. Il ceduo sotto fustaia della Francia nel piano dominante aveva la rovere che, a giusta ragione, veniva coltivata per ottenere legname da opera. Siccome il legno è stato anche per la Francia il principale combustibile fino quasi all'ultimo conflitto mondiale, quindi anche loro avevano bisogno di legna da ardere, piuttosto che governare a ceduo un bosco di rovere, tenevano a ceduo "le bois blanc", ovvero tutte le specie del piano vegetazionale della rovere (per lo più carpino bianco), con spiccata facoltà pollonifera (Figura 4). Inoltre il carpino aveva anche la funzione di migliorare la forma del fusto della rovere ed evitare impalcature nella parte bassa del fusto. Con la flessione della domanda della legna da ardere, molti cedui composti francesi sono stati convertiti in fustaie di rovere.
Consentitemi ancora una parentesi. Ieri si è parlato di governo, trattamenti selvicolturali e protezione del suolo, per semplificare: fustaia o ceduo? Io ho ricordato, e lo ricordo anche a quelli che non erano presenti ieri, che c'è uno studio scientifico, molto ben impostato dal compianto prof. Falciai, uno dei Maestri della Scuola forestale fiorentina, che ha quantificato comparativamente l'erosione del terreno in relazione al trattamento selvicolturale e al tempo che intercorre dal momento del taglio (o del non taglio - testimone - costituito da un ceduo maturo ad evoluzione naturale). Lo studio [2] ha misurato l'erosione in un ceduo di faggio per tutto il ciclo produttivo e, comparativamente, per lo stesso periodo di tempo, in una conversione ad alto fusto e in un ceduo invecchiato lasciato all’evoluzione naturale. Le tipologie colturali erano poste nelle stesse condizioni morfologiche ed erano ubicate una accanto all’altra nella foresta dell’Acquerino (PT). Lo studio, come si può ben immaginare, alquanto articolato, ha dato indicazioni a vasto raggio, per quello che qui interessa, in estrema sintesi, è risultato che immediatamente dopo il taglio del ceduo l’erosione del suolo è ben più elevata rispetto alle altre opzioni colturali poste a confronto (conversione ad a.f. e invecchiamento naturale). Se si prende in considerazione un periodo abbastanza lungo o l’intero ciclo produttivo del ceduo, quest’ultimo protegge il suolo più della fustaia. Questo è un risultato emerso dalla ricerca, con buona pace di tutte le affermazioni, non dimostrate, che dicono il contrario.
Le ricerche sui cedui hanno interessato le specie di seguito riportate.
Il castagno. E’ stato condotto uno studio sui cedui di castagno ubicati su terreni vulcanici della valle dell'Irno, a cavallo tra le province di Salerno e di Avellino. I risultati hanno portato alla costruzione di tavole di cubatura dei polloni a una e a doppia entrata, quest’ultima distinta per assortimenti ritraibili; una tavola alsometrica; una tavola della produzione in termini di biomassa. Lo studio comprende anche la pubblicazione dei dati dei profili del fusto per classi diametriche e ipsometriche utilizzabili per calcolare i volumi di qualsiasi assortimento legnoso, una volta note le relative dimensioni (diametri e lunghezze del dato assortimento) [3] [4].
Il leccio. Sono state sottoposte a rilievi sperimentali aree di saggio permanenti in cui sono state analizzate le opzioni colturali possibili in presenza di un ceduo di 40 anni di leccio.
Sono stati individuati tre blocchi in cui sono stati randomizzati i seguenti trattamenti: i) ceduo con rilascio rispettivamente di 50 e 250 matricine/ha di 1T; ii) il ceduo composto con 140 matricine/ha di cui 80 di 1T e 60 di 2T; iii) l’avviamento ad alto fusto; iv) l’abbandono colturale (testimone). Già dopo i primi 14 anni di osservazioni i risultati hanno fornito importanti indicazioni di carattere gestionale e naturalistico.
Il ceduo con 50 matricine per ettaro per il momento è risultato il più produttivo, quello che ha fatto registrare la maggiore biodiversità, soprattutto nei primi anni dopo il taglio, quello più resiliente ai danni da agenti meteorici a carico delle matricine. All’aumentare dell’intensità della matricinatura l’effetto negativo sullo sviluppo dei polloni è di tutta evidenza. E’ stato sorprendente constatare che a 14 anni, età del turno adottato per i cedui di leccio per tanti anni, il numero medio di polloni per ceppaia varia in cifra tonda da 14 a 18 in ragione inversa al numero di matricine rilasciate. Alla suddetta età le dimensioni medie dei polloni non raggiungono i 4 cm! Si deve dedurre quindi che con siffatti turni si utilizzavano polloni che oggi costituirebbero interamente la fascina che solitamente viene lasciata in bosco. All’epoca invece le suddette dimensioni erano quelle che forse meglio si prestavano al taglio con l’accetta e la roncola, che fornivano assortimenti per il carbone “cannello” e fascina da forno per il consumo familiare. Un’economia, ormai del passato, che comportava un eccessivo stress per i tagli troppo ravvicinati e un progressivo impoverimento di risorse per il bosco. Su questo ceduo di leccio è stato possibile documentare come il taglio effettuato fuori dal periodo prescritto dai Regolamenti forestali incida negativamente sulla ripresa dei polloni: le differenze tra la crescita del bosco tagliato nei termini rispetto a quello tagliato appena un paio di settimane fuori termini di legge sono risultate, nei primi anni, statisticamente significative. Quindi il fatto che qualcuno prima di noi abbia stabilito il periodo di ceduazione non ha assunto questa decisione a caso. Per i risultati a fine turno bisognerà aspettare ancora qualche anno [5] [6] [7] [8] [9].
Il cerro. In un ceduo invecchiato di cerro, secondo un disegno sperimentale a blocchi randomizzati sono stati posti a confronto l’avviamento ad alto fusto con due differenti intensità di diradamento, e l’evoluzione naturale del ceduo (controllo). I risultati ottenuti hanno dimostrato come, in condizioni di buona fertilità, sia possibile la conversione con un numero ridotto di allievi (600 polloni per ettaro), ottenere un macchiatico positivo, favorire la biodiversità della fustaia transitoria. In generale si può affermare che la scelta dell’opzione “conversione” sia da preferire rispetto all’opzione “abbandono ad evoluzione naturale”, sotto molteplici punti di vista: produttivo, economico, sociale, ambientale, occupazionale. Inoltre l’abbandono delle attività forestali stravolgono le attività tradizionali [10] [11] [12].
Un altro studio sui cedui di cerro, durato 17 anni, ha interessato soprattutto le relazioni tra matricine e polloni e tra matricine e rinnovazione da seme. Debbo dire che su questo studio ho potuto investire moltissimo tempo e anche parecchio denaro perché sono riuscito ad ottenere un buon finanziamento da parte del CNR. Come vi farò vedere - poiché nel prosieguo della relazione mi soffermerò sul ceduo di cerro - è stata fatta un'indagine minuziosa (anche troppo) che mirava a dare una risposta in termini sperimentali all’ottimizzazione della matricinatura sulla produzione legnosa di un intero ciclo produttivo (quante matricine, come, ecc ). Per rilievi sufficientemente precisi sulle proiezioni delle chiome al suolo, con l’aiuto di un ingegnere meccanico, ho addirittura costruito un ortocollimatore autolivellante, uno strumento ottico che consente di riportare con precisione centimetrica la proiezione in piano della chioma delle matricine, a qualsiasi altezza dal suolo, rilevata su 8 raggi disposti secondo la rosa dei venti [13]. Nel corso della ricerca ci siamo accorti che durante l’esbosco della legna con trattori alcune ceppaie venivano danneggiate dal passaggio di detti mezzi. Ciò ha stimolato una ricerca ad hoc per cui sono state marcate sul terreno 100 ceppaie assolutamente non danneggiate ed altrettante danneggiate. Il monitoraggio effettuato negli anni successivi ha consentito di verificare la mortalità naturale delle ceppaie e l’influenza del danneggiamento sul ricaccio e sullo sviluppo dei polloni [14] [15].
Ritorniamo all'indagine pilota sull’intensità della matricinatura nei cedui della Provincia di Viterbo. Sono stati rilevati i principali parametri dendrometrici e il numero di polloni su ogni ceppaia radicata rispettivamente sotto la chioma di matricine e del tutto liberi dall’aduggiamento. In condizioni stazionali confrontabili, considerando differenti intensità di matricinatura, sono state registrate le densità reali per ettaro. Poi si è proceduto con simulazioni “a tavolino” considerando varie ipotesi tra i due possibili casi estremi: i) produzioni in totale assenza di matricine, ovvero tutte le ceppaie libere da aduggiamento, alle densità reali riscontrate in provincia di Viterbo; ii) produzioni con tutte le ceppaie aduggiate dalle chiome delle matricine. Alla fine è stato costruito uno studio alsometrico con matricinatura da zero a 250 matricine per ettaro. Sapevamo tutti che era un modello che aveva bisogno di essere validato. Siamo ritornati sullo stesso territorio a vedere se in realtà, dove c'era questo range di matricine, le nostre produzioni erano plausibili. I test hanno dato riscontri sostanzialmente positivi, quindi il modello era credibile. Però rimaneva un modello teorico.
Più in dettaglio si è notato che la differenza di produzione tra ceduo semplice e ceduo composto con 250 matricine ad ettaro fino a 12 anni è a favore del ceduo composto. E questo è intuitivo. Infatti se subito dopo il taglio di un ceduo si lascia una ricca dote (in termini di massa in piedi, ovvero numerose matricine per ettaro) rispetto all’ipotesi zero matricine, comparativamente si ha già una dote che produce immediatamente dopo il taglio del ceduo. In altri termini se è stato lasciato un elevato numero di matricine, ad es. 70-80 metri cubi per ettaro, si ha già una massa legnosa investita nella produzione rispetto all’ipotesi zero massa iniziale, ovvero zero matricine. E’ prevedibile che nel caso della matricinatura intensiva, si avrà una buona crescita iniziale, sicuramente maggiore rispetto all’ipotesi di zero matricine. A 16-17 anni le produzioni manifestano scarse differenze tra i due modelli colturali posti a confronto. Si tenga presente che il ceduo ha uno start iniziale più veloce rispetto alla fustaia in quanto i polloni, essendo emessi dalle ceppaie, possono avvalersi di un apparato radicale già costituito per cui, superato il trauma del taglio, la crescita è sicuramente molto più veloce della fustaia. Superati i 17 anni la produzione del ceduo semplice ha superato quella del ceduo composto.
Sempre da questo modello è emerso che i turni della massima produzione legnosa oscillavano tra 20 anni nei soprassuoli più fertili a 25-28 in quelli meno fertili. In provincia di Viterbo in quel periodo i turni più frequentemente adottati si attestavano frequentemente intorno a 25 anni.
La tabella seguente presenta i principali caratteri del ceduo di cerro in località Rocca Respampani nel Comune di Monte Romano, in Provincia di Viterbo. Per i riferimenti bibliografici si rimanda a [14] [15] [16] [17].
Età del ceduo al momento della ceduazione | 24 anni. |
---|---|
Numero medio di ceppaie per ettaro | 1018 |
Numero medio di matricine per ettaro | 94 |
Diametro medio dei polloni vivi | 14,2 cm |
Altezza media dei polloni | 16,5 m |
Volume per ettaro dei polloni | 133 m2 |
Volume medio delle matricine riferito alla superficie di un ettaro | 68 m2 |
Volume totale medio per ettaro dei polloni e delle matricine | 201 m2 |
Incremento medio al netto della “dote” (ovvero del volume delle matricine rilasciate all’anno zero) | 7,2 m2/ha. |
Le tesi sono:
ceduo con 50 matricine per ettaro, tutte di un ciclo ovvero di 24 anni, l’età del ceduo al momento del taglio;
ceduo con 50 matricine per ettaro di cui 30 di 1T e 20 di 2T. Ipotizzando che i turni precedenti fossero anch'essi di 24 anni, all’inizio del ciclo produttivo si avevano rispettivamente 30 matricine di 24 anni e 20 di 48 anni. Di conseguenza, a fine ciclo 30 matricine avranno 48 anni e 20 matricine avranno 72 anni;
ceduo con 100 matricine per ettaro, di cui 60 di 1T e 40 di 2T.
ceduo composto con 140 matricine per ettaro di cui 80 di 1T e 60 di 2T.
Del ceduo composto in Italia abbiamo discusso già ieri durante l’escursione in bosco. In Italia c’è la regola empirica di lasciare nei cedui composti le matricine dei differenti turni (ipotizziamo di 3 turni) secondo un rapporto di 5:3:1, che è una cosa che non convince per niente. Infatti se allo scadere del ciclo sono state lasciate 140 matricine per ettaro, ovvero 78 di 1T (140 / 9 * 5), 46 di 2T (140 / 9 * 3) e 16 di 3T (140 / 9 * 1), a fine ciclo si taglieranno tutti i polloni di 24 anni meno 78 matricine di 1T e tutte le matricine che sono passate da 3 a 4T (ossia da 72 a 96 anni), inoltre si taglieranno le matricine in sovrannumero nelle classi di età di 48 e 72 anni, quindi cadranno al taglio anche 78 - 46 = 32 matricine di 48 anni e 46 - 16 = 30 matricine di 72 anni in modo da ripristinare il rapporto 5:3:1. La tabella che segue schematizza la distribuzione delle classi cronologiche delle matricine in un ceduo composto con 140 matricine per ettaro utilizzando un turno di 24 anni.
Numero di matricine | ||||
1T | 2T | 3T | 4T | |
---|---|---|---|---|
1950 post taglio | 78 | 46 | 16 | 0 |
1974 ante taglio | 0 | 78 | 46 | 16 |
1974 post taglio | 78 | 46 (78 - 32) | 16 (46 - 30) | 0 (16 - 16) |
Se rispettivamente 32 matricine di 48 anni e 30 matricine di 72 anni non sono da considerarsi mature (in quanto la maturità è stata stabilita in 4T, ovvero 96 anni, perché tagliarle? E poi se si tratta di ceduo di cerro quante ceppaie di 48 e 72 anni ricacceranno per dare vita ai polloni? E’ prevedibile che un gran numero di queste ceppaie avranno esaurito la capacità pollonifera. Ed infine da cosa trae origine il rapporto di 5:3:1 nelle classi cronologiche delle matricine? Qualcuno dice dalla necessità di dare a ogni classe cronologica la stessa area basimetrica (comunicazioni personali raccolte tra i colleghi anziani maggiormente esperti nel governo a ceduo). In questo caso per quale motivo bisogna rispettare la suddetta equa distribuzione di area basimetrica, se la necessità di avere matricine con più classi cronologiche nasce dall’esigenza di avere nel governo a ceduo anche una quota di legname da opera?
Premesso che 140 matricine per ettaro finiscono per deprimere la vitalità del ceduo, la proposta che ho fatto all’epoca in cui conducevo questi studi è che se per ragioni diverse (vedi ragioni estetiche, vedi necessità di produrre ghianda per ragioni faunistiche, non certo economiche!) vogliamo rilasciare matricine appartenenti a differenti classi cronologiche, sarebbe più razionale che fossero equamente ripartite in termini numerici.
Un’altra considerazione da fare è che nella matricinatura intensiva inevitabilmente, si è costretti a reclutare anche matricine che non hanno proprio tutti i requisiti.
La figura 6 schematizza il transetto largo un metro, materializzato da vertice a vertice della singola area di saggio del quadrato latino, su cui è stato monitorato lo sviluppo di tutti i polloni delle ceppaie che ricadevano in questa area posizionata sistematicamente lungo la diagonale di tutte le aree di saggio.
Di tutti i polloni sono state rilevate le dimensioni ipso-diametriche per 17 anni, tenendo distinti i polloni sotto l'influenza della chioma da quelli liberi (dall'influenza della chioma).
La figura 7 mostra quelli che erano i mezzi che avevamo.
So bene che vi farà sorridere, però l'ho voluta riportare lo stesso per farvi capire soltanto pochi anni fa in quali condizioni si operava. Voi mi direte, ma un drone? Perché non avete utilizzato un drone? Non ce li avevamo ancora i droni! Noi utilizzavamo questo deltaplano a motore che partiva “a strappo”, tirato da un’auto R4 (evidentemente l’aeromobile era privo del sistema di avviamento elettrico) poi si tagliava la fune per evitare che il deltaplano trascinasse in aria la R4 oppure che, più plausibilmente, precipitasse al suolo rovinosamente, trattenuto dalla R4!! Quando ho assistito a questa scena, perché dovete sapere che è durata diversi giorni, considerati i rischi che avevo corso, ho detto basta! Abbiamo usato pure l'aerostato. Portavamo delle bombole di gas (elio in genere), si gonfiavano questi palloni, avevamo preparato artigianalmente un bilanciere con una macchina fotografica che, per gravità, si posizionava sulla verticale, la fune ci dava la misura dell'altezza dalla quale si scattavano le fotografie, il timer di cui era dotata la macchina fotografica scattava foto a ripetizione. Le previsioni meteo spesso hanno allungato i tempi di rilievo: si partiva con il tempo calmo si andava sul posto e anche una leggera brezza spostava il nostro “aerostato”, allora il grande pallone se ne andava alla deriva!
Come ho già accennato c’era la necessità di misurare l’ampiezza delle chiome. I valori che venivano registrati con metodi empirici, eseguiti da due differenti operatori, spesso davano scostamenti di entità tali da non poter essere accettati. Non essendo stato reperito uno strumento per misurare con precisione le chiome delle piante, con l'aiuto di una officina meccanica di precisione, è stato realizzato un ortocollimatore autolivellante (Figura 8). Questo ortocollimatore, riportato nella foto che segue, ha un prisma all'interno che permette di vedere contemporaneamente in alto e in avanti. In avanti serviva per seguire la direzione di rilievo secondo un raggio prestabilito, e in alto serviva per stabilire la proiezione del punto estremo della chioma lungo la direttrice di rilevamento.
Quindi abbiamo rilevato tutte le chiome di tutte le matricine con questo strumento secondo lo schema sopra illustrato. La planimetria era riportata su un lucido in cui era possibile vedere le ceppaie, la posizione esatta rispetto a due lati che delimitavano l’area di saggio, il numero di polloni, il diametro di ogni pollone con un simbolo per indicare se era morto o se era vivo.
La proiezione della chioma era ottenuta dall’ottagono in scala costruito dagli 8 raggi rilevati con l’ortocollimatore.
Ogni tematismo era riportato su di un foglio trasparente indeformabile, i lucidi erano tutti riferiti a un sistema di assi cartesiano che coincideva con due lati ortogonali che delimitavano ogni area di saggio. Dalla sovrapposizione dei lucidi si potevano incrociare i tematismi: ad esempio se si voleva sapere quali erano i polloni aduggiati dalle matricine bastava prendere il lucido delle chiome delle matricine e sovrapporlo a quello delle ceppaie (Figure 9 e 10).
Questi sono dettagli per farvi capire che nella ricerca molto spesso bisogna sapersi adattare senza perdere il rigore della ricerca.
Poi in Istituto arriva un giovane che si chiama Scotti che comincia a trafficare con il computer, realizza programmi, utilizza o adatta quelli disponibili, comincia a fare delle planimetrie al computer (Figura 11) e quindi inizia un'elaborazione più veloce che prima facevamo a mano con le calcolatrici (tipo quelle che ora danno in omaggio nel fustino del detersivo).
Ma io vi devo dire che quando ero studente non c'erano nemmeno quelle. Le aree basimetriche le calcolavamo con le tavole dei conti fatti (le tavole discometriche).
Ogni semenzale posizionato lungo l’allineamento del transect, largo un metro e lungo 32 metri, veniva analizzato rispetto al bordo delle chiome che interferivano con il transect. La prima ipotesi da verificare riguardava la presenza di semenzali rispetto all’area di insidenza delle chiome. L’ipotesi che le matricine di cerro disseminassero soltanto nell’ambito dell’area di insidenza della propria chioma, accreditata dal notevole peso del seme, si è rivelata subito errata. Rilievi fatti per tre anni dopo il taglio hanno dimostrato che la maggior parte dei semenzali nasce sotto l’area di insidenza delle chiome, senza escludere però che una parte, per effetto probabilmente dell’azione della fauna selvatica (empiricamente si dice che i cinghiali predino l’80% del seme prodotto e il 20% lo interrano), ma anche del vento, si affermano ben oltre il bordo della chioma. Rilievi fatti per tre anni (86-88) hanno documentato questo fenomeno (Figura 12).
Ai fini dello studio della rinnovazione sono stati suddivisi i semenzali preesistenti al taglio, che come vedremo sono quelli che maggiormente sopravvivono fino all’età di 17 anni, dai semenzali che si insediano subito dopo il taglio.
Secondo alcuni libri di selvicoltura le matricine devono essere piante da seme. Le matricine, quasi tutte, hanno invece origine agamica. E’ una questione che tiene conto dei differenti ritmi di crescita tra polloni e piante da seme. Secondo le nostre indagini le piante da seme sopravvissute al 17° anno raramente, in media, superano e 3-4 metri di altezza, con diametri compresi tra 3 e 5 cm. È evidente che non si possono lasciare come matricine piante di queste dimensioni. Ciò nonostante, le piante da seme sono indubbiamente utili in quanto integrano le ceppaie che esauriscono la loro vitalità.
La rinnovazione da seme presente dopo il taglio del ceduo (rinnovazione preesistente al taglio e non ceduata o danneggiata dal taglio) è risultata variare in cifra tonda entro una forbice compresa tra circa 1.100 e poco meno di 2.400 piantine per ettaro.
I semenzali che si affermano a partire dalla primavera successiva al taglio variano, sempre in cifra tonda, tra oltre 30.000 e 45.000 semenzali per ettaro. Con il passare degli anni c'è la selezione per la concorrenza da parte dei polloni, della vegetazione erbacea ed arbustiva che cresce, dell’aduggiamento da parte delle matricine che ha una notevole influenza sulla sopravvivenza dei semenzali. Questa categoria di piante da seme che si sono insediate dopo il taglio, all'età di 17 anni avevano in media diametri di 1,25 cm (min: 1,05; max: 1,84) e altezze di 128 cm (min: 95; max: 204).
Le piante da seme preesistenti al taglio, dopo 17 anni dalla ceduazione hanno fatto registrare dimensioni diametriche variabili tra 2 e 5 cm e le altezze comprese tra 3 e 4 m.
Il numero di piante da seme ancora vitali al 17° anno dal taglio sono risultate variare tra 80-150 per ettaro. Un numero prevedibilmente sufficiente a sostituire le ceppaie la cui capacità pollonifera si esaurisce per cause naturali ed anche quelle che normalmente muoiono per i danni arrecati dai mezzi di esbosco.
La crescita in altezza dei polloni (Figura 14) è risultata sufficientemente omogenea in tutte le tesi a confronto, tranne che per il ceduo composto a più elevata intensità di matricinatura in cui, l’aduggiamento prodotto dalle chiome delle matricine inibisce maggiormente lo sviluppo in altezza.
La crescita del popolamento (polloni e matricine considerati assieme) della tesi con 50 matricine di 1T si differenzia positivamente da tutte le altre (Figura 15).
I grafici della figura 15, ad un’attenta analisi, mostrano due leggere flessioni nella crescita in corrispondenza rispettivamente del 4° e del 13° anno. Le suddette flessioni si evidenziano maggiormente quando si esaminano gli incrementi periodici espressi in percentuale.
La crescita dei polloni del periodo considerato forma due fasci distinti in funzione dell’intensità della matricinatura: come era prevedibile, i polloni dei soprassuoli con meno matricine sono favoriti nella crescita. Il grafico a destra, fatta uguale a 100 l’area basimetrica dei polloni dopo un anno dalla ceduazione, evidenzia una pronta sensibilità nella crescita dei polloni rispetto alle condizioni meteo (Figura 16).
Il grafico in figura 17 mostra come, entro i valori numerici sperimentati, la crescita delle sole matricine manifesti un andamento che si discosta poco dalla retta lineare. In termini di area basimetrica prodotta, naturalmente, le rette si pongono in ordine all’area basimetrica iniziale lasciata a dote del ceduo nelle singole tesi.
Il risultato in termini produttivi dimostra che il ceduo con 50 matricine di 1T produce più di tutte le altre tesi poste a confronto. Le differenze al 17° anno della suddetta tesi rispetto alle altre che hanno un numero crescente di matricine vanno dal 14,7% se il confronto avviene con la tesi D al 25,7% se il confronto riguarda la tesi C.
I dati sono poco discosti dai risultati di un’altra sperimentazione che poneva a confronto le produzioni ritraibili nelle stesse condizioni ambientali da una pari superficie governata rispettivamente a ceduo o a fustaia. In quel caso risultò che il ceduo, in termini di massa legnosa, nel tempo del turno della fustaia veniva tagliato 4 volte e in totale produceva il 28% in più rispetto alla fustaia.
All'aumentare del turno aumenta la mortalità delle ceppaie e questo è un dato che ci deve far pensare perché se vengono meno le ceppaie viene meno anche la produzione, viene meno anche il bosco, cambia il paesaggio, aumenta il rischio idrogeologico etc. etc. Si tratta di una problematica nuova dato che in passato la tendenza era quella di tagliare cedui sempre più giovani, tanto è vero che circa un secolo fa in Italia fu necessario emanare prescrizioni che stabilivano il turno minimo al di sotto del quale non si poteva utilizzare il ceduo. Le migliorate condizioni economiche delle popolazioni e la diffusione di fonti energetiche alternative alla legna (vedi gas in bombole e reti di metanizzazione urbane) hanno allentato la pressione sui boschi da parte dell’uomo e hanno portato all’invecchiamento di molti boschi cedui con conseguenti accumuli provvigionali. Non c’è dubbio che dal punto di vista dell’impresa boschiva, la convenienza al taglio del ceduo aumenta con l’età del popolamento in quanto aumentano le provvigioni per ettaro. Bisogna però trovare un bilanciamento tra interessi contrastanti: quando però è a rischio la sopravvivenza del bosco, gli aspetti economici debbono passare in secondo ordine. La maggior parte dei regolamenti forestali oggi prevedono limitazioni, fino al divieto di taglio, quando il ceduo ha superato il doppio del turno minimo prescritto per ogni specie.
La mortalità naturale delle ceppaie nel nostro caso è risultata pari a 3.3% (circa 33 ceppaie per ettaro). In occasione della ricerca di cui stiamo parlando, poiché se ne presentò l’occasione, è stata eseguita un’indagine sui danni da mezzi di esbosco alle ceppaie. Quando hanno esboscato il legname sono passati con i trattori per raccogliere la legna e i tronchi (all’epoca il cerro era richiesto ancora in qualche misura per legname da opera). Il passaggio dei trattori, inevitabilmente, arreca qualche danno alle ceppaie. Sono state individuate 100 ceppaie danneggiate dai trattori e un pari numero di ceppaie, più o meno delle stesse dimensioni, non danneggiate. Tutte le ceppaie sono state picchettate, numerate e sottoposte a monitoraggio per alcuni anni, per dare una risposta all’influenza di questo danno sulla vitalità delle ceppaie e sulla capacità pollonifera. Nel caso qui esaminato, questo disturbo ha comportato un aumento di mortalità del 7.7% . Per una corretta interpretazione dei risultati di questa ricerca si consideri che le ceppaie che sono morte per vetustà (o comunque non per cause traumatiche) sono risultate 33/ha. Se poniamo che il 10% di ceppaie presenti nel nostro caso fossero state danneggiate durante le operazioni di esbosco, che è un numero già alto dato che i trattori non devono andare a spasso nel bosco ma devono muoversi lungo tracciati preferenziali già individuati dal boscaiolo nella fase di allestimento e formazione dei mucchi di legna, allora si hanno 1018 * 10% = 102 ceppaie danneggiate. Quindi la mortalità totale delle ceppaie in un ettaro sarà: 33 + (7.7 * 102 ceppaie) = 33 + 8 = 41 ceppaie. L’obiettivo per avere un numero di ceppaie costante è di sostituire complessivamente 33 ceppaie che muoiono per cause naturali più 8 ceppaie che muoiono perché danneggiate dai trattori. In totale 41 ceppaie.
L’insediamento della rinnovazione nei cedui di cerro è correlato negativamente all’area basimetrica del popolamento (indipendentemente che si tratti di polloni o di matricine).
Con tutte le riserve relative alla non corretta generalizzazione dei risultati della presente ricerca, si può affermare che, nelle condizioni ambientali in cui si è operato e talvolta anche più in generale:
l’allungamento dei turni incide significativamente sulla mortalità delle ceppaie;
le ceppaie non emettono polloni soltanto dopo il primo anno. Il secondo anno c'è ancora emissione di polloni, in genere più striscianti che non hanno un grande avvenire però alcuni sopravvivono. Questo fenomeno è stato sperimentalmente accertato in quanto sulle ceppaie campione di ogni tesi posta a confronto, i polloni ogni anno venivano marcati con colori indelebili e cartellinati. Da un punto di vista pratico ciò deve essere considerato ad esempio quando per verificare l'età di un ceduo si esaminano le cerchie legnose presenti sulla ceppaia. E’ buona regola quindi tagliare preferibilmente uno o più polloni scelti tra quelli di maggiori dimensioni diametriche sulla ceppaia, ciò in quanto un pollone dominato potrebbe non rispecchiare fedelmente l’età del ceduo (in quanto ricaccio successivo alla prima stagione vegetativa dopo il taglio del ceduo). Tagliare un pollone dominante sulla ceppaia dà più probabilità di determinare correttamente l'età del ceduo, tagliarne più di uno rappresenta una garanzia da questo punto di vista;
il numero medio di polloni per ceppaia varia in cifra tonda da circa 20 dopo il primo anno dalla ceduazione a 2,6 al 17° anno (10-14% del numero iniziale), per arrivare a 1,46 per ceppaia al 24° anno (quest’ultimo dato, avente valore soltanto indicativo, è stato rilevato sul popolamento preesistente all’impostazione della sperimentazione). Dalle analisi condotte è risultato che la variazione del numero di polloni non è significativamente correlata al numero di matricine, lo sono invece le dimensioni diametriche e quindi l'area basimetrica e il volume per ettaro della componente polloni a partire dai 14 anni. Quindi i polloni, all’interno del range cronologico e di intensità di matricinatura indagato, “vivacchiano” quando aumenta la copertura delle matricine, quindi crescono molto meno;
al 17° anno i polloni hanno un diametro medio di area basimetrica di 11 cm e un'altezza media di 12 m;
la crescita dei polloni è influenzata negativamente dalle matricine. La migliore performance produttiva si è avuta nei soprassuoli appartenenti alla tesi di 50 matricine per ettaro.
la mortalità non ha interessato alcuna matricina. Quindi quel discorso "lasciamo qualche matricina in più perché tanto poi qualcuna muore” è risultato falso! Le matricine sono soggette a danni da agenti meteorici di ordinaria intensità se non hanno dimensioni adeguate, in caso contrario i danni a carico delle matricine sono un fatto eccezionale;
l’area basimetrica delle matricine cresce a ritmo pressoché costante in tutte le tesi esaminate. L’incremento di area basimetrica delle matricine ha un andamento sincrono in tutte le tesi esaminate in relazione all’andamento climatico. Quindi sia che se ne lascino poche, sia che se ne lascino tante, quando è crisi idrica o termica, è crisi per tutte;
la produzione totale del ceduo (polloni + matricine) è influenzata negativamente dal numero delle matricine. Insomma, meglio poche matricine ma buone!!
A parità di numero di matricine, meglio il ceduo matricinato che il ceduo composto. Soprattutto poi se parliamo di cerro dove sia dal ceduo matricinato, sia dal ceduo composto comunque si ricava soltanto legna da ardere;
i semenzali nascono sia qualche anno prima dello scadere del turno, ma soprattutto dopo il taglio, tantissimi dopo il taglio e pochi prima dello scadere del turno quando il ceduo è maturo ed è già più diradato e c'è meno concorrenza rispetto ai primi anni quando il ceduo è impenetrabile. La sopravvivenza dei semenzali è notevolmente differente se si considerano separatamente quelli nati dopo il taglio del ceduo da quelli preesistenti.
Per completezza si deve osservare che la ricerca non ha preso in considerazione aspetti paesaggistici, idrologici, ecologici. Si è voluto indagare soprattutto sulle dinamiche nella crescita dei polloni e delle matricine e sugli aspetti produttivi.
L’esperienza accumulata nel corso della mia attività scientifica e professionale riguardante il bosco ceduo, soprattutto di quercia e di castagno, per il faggio bisognerebbe fare tutt’altre considerazioni, portano a fare qualche ulteriore commento.
Le misere condizioni delle popolazioni che hanno spinto generazioni di boscaioli e carbonai a un lavoro massacrante, a danni notevoli, e spesso irreversibili, al bosco si spera che appartengano al passato.
Al di là di posizioni ideologiche, si ritiene che la selvicoltura sia un’attività che possa essere praticata in maniera sostenibile e possa contribuire ancora al benessere dell’uomo. Perché ciò avvenga non si può arrestare il progresso tecnologico e, nello specifico, anche per migliorare le condizioni di lavoro, di sicurezza degli addetti e per ragioni economiche legate alla globalizzazione dei mercati, non si possa bandire l’ingresso delle macchine nel bosco. Ciò deve avvenire regolamentando in modo competente e appropriato l’uso delle macchine. Si deve tener conto che, contrariamente a quanto avviene per tanti prodotti (vedi il settore alimentare), difficilmente per la produzione di legna da ardere si possa invocare il prodotto di nicchia.
Laddove per ragioni diverse si voglia attuare la conversione del ceduo, sarebbe bene valutare se esistono le condizioni ecofisiologiche per la crescita della fustaia transitoria e se esistono le condizioni per assicurare la rinnovazione (da seme) quando ciò sarà richiesto.
L’abbandono della selvicoltura oltre ad altre implicazioni di carattere paesaggistico, idrogeologico, di resilienza nei confronti delle calamità naturali e degli incendi boschivi, comporta uno spreco di risorse energetiche che contribuiscono all’effetto serra del pianeta.
Da ultimo, ma non per importanza, va considerato che lo spreco di risorse energetiche da parte dei paesi ricchi, oltre ad aspetti etici ed ecologici, determina inevitabilmente un aumento della pressione antropica e, in generale, una minor tutela delle risorse forestali in quelli poveri.