The coppice system, once widespread, may again play a role within the ongoing climate change and related green-economy issues. Current surveys are outlined and updated rules of management are highlighted. Meanings and connections between conservation and forestry are discussed.
The widespread coppice system reduced its economic significance since mid-1900. Nowadays, it may play again a prominent role within the ongoing climate change and related green-economy issues. Current survey is outlined and updated rules of management addressable to the composite panorama of the coppice system today are highlighted. Meaning and connections between conservation and forestry are finally discussed.
Oggi, a soli 60-70 anni dalla crisi del bosco ceduo conseguente alla diffusione dei combustibili fossili, il contesto di riferimento cambia ancora per due motivi convergenti: la consapevolezza ormai recepita anche dal livello politico che i combustibili fossili non sono affatto puliti, che non saranno disponibili così come oggi per molti anni ancora, che fonti di energia alternative e rinnovabili dovranno prendere il posto di quelle attuali in un nuovo modello di ‘green economy’ [1] che dovrà sostituire quello di ‘fossil fuel-based economy’.
Collegato a questa emergenza è il riscaldamento del pianeta prodotto dalle emissioni gassose dei combustibili fossili, ormai modellizzato secondo scenari sempre più preoccupanti e precisi nel determinare i tempi massimi di correzione disponibili. Un cambiamento che minaccia il nostro habitat globale sia direttamente che per la serie di retroazioni ambientali associate.
Accanto allo sviluppo delle fonti alternative e rinnovabili (idro-elettrico, solare, eolico, geo-termico), le piantagioni fuori foresta, la ‘short rotation forestry’, la coltivazione intensiva di biomasse per uso energetico, ritorna di interesse il ceduo, la forma di governo del bosco storicamente associata alla produzione di energia.
Il cambiamento di contesto, ripropone così soluzioni che solo alcuni decenni fa sembravano il retaggio di tempi passati. Una forma di governo antica e in parte abbandonata si ripropone come molto ‘moderna’ ed attuale, pure con parametri di coltivazione e soluzioni applicative differenti dalle precedenti (Fig. 1). Questo per il nostro Paese in particolare, dato il livello di importazione non ancora a lungo sostenibile anche da un punto di vista etico-ambientale. Il risparmio delle nostre foreste a carico del consumo di Paesi vicini che esportano oltre norme minime di buona condotta nell’utilizzo delle proprie risorse, non garantisce più un bilancio neutro in termini di stoccaggio complessivo di carbonio perché il sovra-uso continuato del bosco in quei Paesi ne riduce in modo duraturo la capacità di assorbimento di CO2.
Il paradigma della ‘mitigazione’ dalla capacità di sequestro e di deposito di carbonio nelle foreste e nel suolo forestale e quello del bilancio neutro (mentre brucio e quindi emetto, sequestro una pari quantità di CO2 nel bosco che cresce), valgono infatti fino a che l’uso corretto delle risorse mantiene intatta o aumenta, per ampliamento delle superfici e quindi delle masse investite nella produzione, questa capacità unica delle piante verdi.
Il cambiamento in atto rende più evidenti i fattori limitanti nell’area geografica mediterranea. Questo si manifesta infatti con l’aumento delle temperature medie e massime e la maggiore irregolarità e/o riduzione delle piogge, periodi di assenza prolungata di precipitazioni o, viceversa, eventi estremi ricorrenti. I nuovi parametri climatici impongono quindi anche forme di coltivazione del bosco ‘adattative’ al nuovo ambiente.
Tra queste emerge il bosco ceduo, non solo perché produttore della prima fonte di energia rinnovabile e quindi neutra, ma per le caratteristiche proprie del sistema che ne riducono la vulnerabilità al cambiamento. Prima fra tutte la garanzia di rinnovazione naturale immediata per via agamica, che evita tutte le combinazioni positive necessarie alla germinazione del seme e alle fasi iniziali di crescita, ma anche la flessibilità e la reversibilità della coltura, l’elevata resilienza ai disturbi, la variabilità degli habitat dallo stadio iniziale a quello finale, la semplicità di gestione.
A questo proposito, la letteratura scientifica internazionale si arricchisce continuamente di risultati che documentano la rinnovata capacità di sequestro di carbonio già nei primi anni dopo il taglio, la maggiore tolleranza dei giovani polloni a periodi di aridità per la disponibilità di un apparato radicale preformato rispetto ai semenzali, la copertura del suolo più rapida, le minori perdite di acqua per evaporazione [2][3][4][5][6][7].
La superficie forestale italiana si colloca al settimo posto in Europa. Caratteri comuni agli altri Paesi sono la sua espansione (+1% per anno 2000-05; quinta posizione), l’aumento delle provvigioni (+12% 2000-05; quarto posto e primo per la categoria ‘altre terre boscate’ in Europa) [8].
Questi dati recenti fanno capo al graduale aumento della superficie di bosco quasi raddoppiata in meno di un secolo e al processo di recupero spontaneo su aree agrarie e pascolive abbandonate (le ‘altre terre boscate’) del 18,1% dal 1950 al 2005 (ISTAT, in [9]).
Forest Europe (2015) [10], riporta un saggio di utilizzazione dell’incremento netto in Italia tra i più bassi pari al 39,2%, nonostante la ‘disponibilità al prelievo legnoso’ sia attributo dell’88,4% della superficie di bosco [11]. La quantità di legno morto (12,3 m3ha in media) colloca l’Italia tra i Paesi più dotati di densità di necromassa in foresta in funzione della minore intensità di coltivazione. La media europea è di 9,9 m3ha con un campo di variazione molto ampio da 0,9 a 23 m3ha [8]. Il rallentamento della gestione forestale attiva insieme al maggiore tempo di permanenza di molti soprassuoli che attualmente si trovano in una fase ‘esplorativa’ tra le età della tradizionale rotazione e quelle della maturità biologica [12][13], ha consentito l’incremento delle provvigioni medie oggi pari a 146,4 m3ha [11].
La capacità di sequestro di carbonio in termini di produttività netta di ecosistema (NEP) è stimata in 4 ton C ha anno [14].
Le statistiche sulla produzione di legna da ardere negli ultimi 60 anni variano da 5 Mm3 a metà anni ’50 a 3,3 Mm3 ad inizio anni ’70. Scendono quindi al minimo di 1,7 Mm3 a metà anni ‘70 per risalire poi a 3 Mm3 all’inizio degli anni ’90 e mantenersi poco variabili (5,2 - 5,6 Mm3) fino al 2011 [15][16][17][18].
Secondo Ciccarese et al. 2006 [17], la produzione reale al 2004 (5,6 Mm3) conta circa 1/3 di quella potenziale (16,5 Mm3).
Gli ultimi dati ufficiali disponibili sulla raccolta interna [19] sono di 5,4 Mm3 di biomassa legnosa da foresta per scopi energetici. Stimando un incremento medio annuo variabile da 3 a 5 m3 ed una età media di utilizzazione intorno ai 30 anni, si hanno produzioni unitarie da 90 a 150 m3ha anno ed una superficie annuale investita variabile da 36 mila a 60 mila ettari. Complessivamente, gli ettari in produzione sarebbero mediamente 1.440.000 (1.080.000 - 1.800.000). La superficie classificata per età e compresa tra 1 e 40 anni [11] è pari a 2.059.000 ha.
Un lavoro recente [18] sottolinea la crescita del mercato della bio-energia in Italia negli ultimi 10 anni e come questo andamento sia atteso continuare secondo gli obiettivi del Piano di Azione Nazionale sulle Energie Rinnovabili, dove la biomassa legnosa è indicata come l’elemento principale.
Due le ragioni: (i) l’efficacia in relazione al costo della materia prima che la rende competitiva sulle altre fonti di approvvigionamento e, (ii) la sua ampia disponibilità date la ridotta utilizzazione corrente del bosco e l’opportunità di aumentare la gestione attiva con riflessi positivi anche economici nelle aree rurali.
Lo stesso lavoro, propone nuove stime dei livelli di consumo e di produzione interna per definire correttamente il ruolo di questa risorsa nel bilancio energetico nazionale e le relative implicazioni di politica forestale.
La stima del consumo interno totale di biomassa legnosa per energia è pari a 21,20 Mt (16,4-22,2) (fattore di conversione da Mm3 a Mt = 0,5 [20]). La produzione interna da ceduo è compresa nel dato complessivo di ‘produzione da foresta, alberi fuori foresta e piantagioni’ pari a 12,91 Mt (6-14). 5,19 Mt (4,1-8) provengono da importazioni, 3,78 Mt (2-4,4) sono prodotte dai residui di lavorazione e dal riciclo di materiale legnoso.
In termini relativi, la produzione interna totale è pari al 59%, le importazioni sono il 24%, i residui e il riciclo valgono il 17%.
I risultati rappresentano (i) le biomasse legnose come la prima fonte di energia rinnovabile in Italia; (ii) i dati ufficiali come descrittori solo parziali dei livelli di consumo e dell’offerta interna.
Un valore complessivo non molto diverso e pari a 19 Mt è stimato da Ciccarese et al. (2012) [21].
Tutti gli autori, con percorsi e metodi di analisi diversi, raggiungono il consenso sulla sottostima evidente delle statistiche ufficiali. Ragioni principali: il carattere cross-settoriale e la frammentazione del mercato, la molteplicità delle fonti di rifornimento, la presenza di una domanda molto articolata, l’auto-consumo diffuso, che rendono il mercato dell’energia complesso e difficile da definire e quantificare [22][23][24].
L’Inventario Nazionale ha prodotto le ultime statistiche ufficiali, riferite al 2005. Il bosco ceduo e quello già governato a ceduo cosiddetto oltre turno, rappresentano quasi 3.700.000 ha, pari al 42% della superficie forestale nazionale [11].
Se analizziamo la composizione percentuale delle superfici per classi di età (Fig. 2), abbiamo un andamento rapidamente crescente dal valore minimo della classe 0-10 fino a 21-30 anni. Segue quindi un plateau fino a 31-40 anni e poi un rapido incremento fino alla classe successiva 41-80 anni, che rappresenta anche il valore di picco. L’età attuale di 80 anni è quella dei cedui a metà ciclo-maturi negli anni ’50 del 1900, quando iniziò il progressivo abbandono su una parte della superficie. Lo squilibrio cronologico è evidente, con una consistenza molto maggiore nelle classi mature e oltre turno e con la somma intervallare 31-80 anni che rappresenta il 54% della superficie totale classificata per età, mentre tra i 21 e gli 80 anni si conta l’87%.
Quanto al parametro massa legnosa in piedi che insiste sulla superficie totale per classi di età (Fig. 3), si osserva come i valori crescono rapidamente dalla classe 21-30 (69 Mm3), a quella 31-40 (94 Mm3), per quasi raddoppiare ancora (173 Mm3) tra i 41 e gli 80 anni. Tra i 21 e gli 80 anni si concentra quindi la prevalenza della massa legnosa, mentre sono poco rappresentate le classi inferiori ai 20 anni.
Elemento di approfondimento del precedente, è l’incremento corrente generato da queste masse che raggiunge valori importanti pari a 11,1 Mm3 per anno, considerando la sommatoria nelle stesse classi di età (Fig. 4).
Questi i numeri che definiscono la composizione relativa per classi di età fino agli 80 anni, età almeno doppia dei turni più lunghi praticati nel passato. Sono quindi rappresentate le due tipologie prevalenti in cui si caratterizza il quadro attuale: i cedui e i cedui oltre turno.
La terza tipologia, quella dell’avviamento, è riportata in termini di superficie in Fig. 5. La sua consistenza complessiva rispetto alla precedente è di molte volte inferiore e intorno al 3,3% per le 3 specie più rappresentate, faggio, cerro, leccio.
Questo tipo individua tuttavia un elemento importante perché dimostra la fattibilità tecnica concreta di percorrere una soluzione colturale alternativa all’invecchiamento per via naturale. Indirizzare la struttura del bosco nella fase di avviamento fino al compimento del ciclo di riconversione ad alto fusto, producendo nel contempo masse intercalari capaci di sostenere le spese di coltivazione.
Il progressivo abbandono colturale su una quota parte della superficie a ceduo, innescò, alla fine degli anni ’60, l’interesse a verificare la praticabilità tecnica ed economica della soluzione dell’avviamento ad alto fusto alternativa e in confronto all’invecchiamento per via naturale (sviluppo della fase di post-coltivazione).
Le evidenze sperimentali dal monitoraggio di lungo periodo consentono oggi la loro valutazione comparata e di definire la percorribilità relativa di ciascuna soluzione. Sono disponibili una serie di parametri di tipo auxonomico (andamento dell’accrescimento e dei caratteri dendro-strutturali), ecologico (tipi di habitat e di diversità, capacità di stock e di sequestro di carbonio, di mitigazione) e produttivo (sostituzione del fossile), che confrontano caratteri distintivi e complementarietà delle soluzioni in ambienti naturalmente variabili dalle scale operative della selvicoltura fino a quella di paesaggio [25].
Argomenti simili sono evidenziati da una meta-analisi basata su 1428 pubblicazioni relative al ceduo dal 1996 al 2015 che ha rivelato la prevalenza di tre settori di ricerca: il suolo forestale e il sequestro di carbonio della foresta, l’impatto antropogenico sulle comunità vegetali ed animali, la risposta fisiologica alle pratiche colturali [26]. Le soluzioni di mantenimento del governo a ceduo su turni allungati, della sua evoluzione per via naturale e dell’applicazione di una selvicoltura dedicata, bene si prestano a questo tipo di valutazioni.
La Fig. 6 visualizza un esempio delle 3 opzioni colturali possibili: ceduo a regime, avviamento, evoluzione naturale, applicate a un ceduo di faggio di media fertilità monitorato dall’età di 27 anni all’attualità (73 anni). Il disegno dell’esperimento comprende le tesi di avviamento ed evoluzione naturale. I rilievi sono stati eseguiti ogni 10 anni. L’ultimo a 67 anni.
Il grafico comprende la proiezione a fine ciclo ipotizzata a 90 anni con un periodo di rinnovazione di 20 anni. Si simula e si sovrappone alle tesi reali quella del ceduo semplice con turno attualizzato a 35 anni.
La culminazione dell’incremento medio di massa totale nella tesi di evoluzione di post-coltura si colloca nella seconda metà dell’intervallo 57-67 anni.
Le tesi si differenziano per obiettivo: (i) dalla raccolta periodica totale del prodotto legna nel ceduo, al (ii) diradamento periodico di una struttura simile a una giovane fustaia nell’avviamento, alla (iii) evoluzione per via naturale del soprassuolo ceduo oltre turno.
I risultati sono: (i) la produzione di 232 m3ha di legna ogni 35 anni a seguito della utilizzazione della massa in piedi; (ii) la produzione intercalare di legna dai diradamenti (taglio di avviamento, dopo 10 anni e poi dopo 20 anni di 282 m3ha complessivi con rilascio di massa in piedi pari a 379 m3ha a 67 anni; (iii) l’accumulo di massa legnosa a meno della mortalità naturale per 505 m3ha alla stessa età.
Nella tesi di evoluzione naturale, la somma della mortalità in piedi e a terra, espressa in peso secco è stimata a 57 anni in 27,7 Mg ha e l’incremento medio di circa 0,5 Mg ha anno. Questi valori sono circa eguali a quelli misurati in altri soprassuoli cedui in post-coltivazione naturale (3 di cerro e 1 di leccio) in un campo di età compreso tra 44 e 57 anni. I valori variano da 22 e 30 Mg ha e l’incremento medio annuo da 0,4 a 0,6 Mg ha anno [27][28].
La situazione rappresentata è descrittiva della fase corrente del bosco già ceduo che mantiene la forma di governo con turni allungati o è in transizione verso l’alto fusto nel caso dell’avviamento e in quello dell’evoluzione naturale.
Ciascuna opzione evidenzia aspetti complementari che sono bene integrabili nel complesso di una foresta.
Il ceduo massimizza la produzione legnosa, crea una risorsa rinnovabile a bilancio neutro che sostituisce il consumo di fossili. L’azzeramento periodico della massa in piedi realizza una gamma di condizioni ecologiche molto ampia (microclima, habitat, quindi diversità). La rinnovazione agamica garantisce la fase più delicata del passaggio tra cicli successivi e la rapida ricopertura del suolo.
L’opzione avviamento realizza già nella fase di transizione l’abbozzo strutturale della futura fustaia da seme, mantiene nel tempo una massa in piedi che cresce e rappresenta lo stock e la capacità di sequestro corrente di carbonio, produce masse intercalari di legna che va a sostituire il consumo energetico di fossile, realizza un ambiente interno più omogeneo, meno strutturato e variabile del precedente. Interventi di diradamento mediamente vicini ai 100 m3ha consentono di mantenere la convenienza economica alla loro realizzazione in condizioni di accesso buone, come nel caso descritto.
L’evoluzione di post-coltivazione mantiene lo stesso andamento auxonomico dell’avviamento a meno della spinta incrementale prodotta dai tagli intercalari [29], traduce naturalmente in necromassa prima in piedi, poi a terra e infine progressivamente incorporata nel suolo la biomassa non asportata dai diradamenti. Assolve quindi la doppia funzione di sequestro e stock nella massa legnosa viva che cresce e di stock in quella morta. Crea un ambiente strutturato, a copertura densa interrotta dai vuoti parziali prodotti dalle ceppaie morte negli stadi finali del soprassuolo preparatori alla futura rinnovazione.
La funzione di mitigazione potrà avvenire in modo conservativo ed estensivo con l’accumulo di massa legnosa, necromassa e materia organica nel suolo. In modo sostitutivo attraverso la forma di governo del ceduo ed intensivamente con coltivazioni di biomassa per uso energetico, capaci di realizzare un prodotto alternativo al consumo di combustibili fossili per aree e settori di mercato regionali e locali.
La natura intrinsecamente variabile del territorio forestale, la giacitura, il gradiente di accessibilità, la fertilità naturale e quella derivata dall’uso pregresso, la composizione specifica, la presenza anche residuale di specie di pregio, sono tra gli elementi principali che suggeriscono al tecnico la/le opzioni realizzabili.
È quindi possibile creare il mosaico di soluzioni che meglio bilancia i possibili scenari e che ricompone la multifunzionalità del bosco, come logico che sia, a scale progressivamente crescenti da quella operativa dell’intervento colturale (il popolamento) a quella di paesaggio [30] (Fig. 7).
Tra gli elementi tecnici, l’allungamento dei turni è consentito dalla evidenza delle reali età di culminazione dell’incremento medio di massa nei cedui oltre turno analizzati tra i tra 40 e i 75 anni di età [29]. L’auto-ecologia appare essere il maggiore determinante con una quercia esigente di luce (cerro) che può produrre la culminazione prima dei 40 anni, e specie tolleranti dell’ombra (leccio, faggio) che nella metà dei casi osservati non hanno ancora raggiunto questa soglia tra i 60 e i 75 anni.
L’allungamento del turno consente di utilizzare una quota parte dei cedui cosiddetti invecchiati che formano la componente prevalente nel campo di età attuale e di riequilibrare quindi progressivamente la distribuzione per classi e le superfici relative. L’interruzione contemporanea delle utilizzazioni legnose ha infatti prodotto una omogeneizzazione cronologica evidente che si riflette in ambienti forestali poco differenziati. Questa appare essere il maggiore problema in una prospettiva di ripresa ragionata della ceduazione che inizialmente dovrà interessare fino alla seconda metà della classe 41-80 anni in situazioni ritenute idonee per parametri quali giacitura, accessibilità, fertilità, ma anche densità di ceppaie vive (capacità di ricaccio), stato vegetativo, struttura di complesso del popolamento. La lunghezza dei turni sarà nei cicli successivi sempre maggiore e fino al doppio di quelli precedenti, ma tarabile secondo lo sviluppo dei parametri del nuovo soprassuolo secondo i criteri della ‘selvicoltura adattativa’ (Fig. 8).
La serie di vantaggi connessi all’allungamento dei turni comprende l’aumento delle masse unitarie ritraibili, la diminuzione della superficie delle singole tagliate, la loro conseguente minore contiguità, la dimensione superiore del materiale legnoso utilizzato e quindi la maggiore resa dalle operazioni di taglio, allestimento, esbosco secondo il livello di meccanizzazione attuale.
Rappresenta, insieme al turno, l’elemento tecnico di base da rivedere nei criteri di: (i) numero, (ii) selezione (qualità), (iii) distribuzione, (iv) tempi di permanenza. La deriva precedente, spesso oltre i numeri minimi già elevati imposti dai Regolamenti, impone la forte riduzione numerica, la maggiore attenzione a riservare i soggetti più equilibrati nel rapporto fusto-chioma possibilmente scelti tra le matricine preesistenti, la distribuzione spaziale per piccoli gruppi o per pedali e gruppi [31][32][33][34][35], un tempo di permanenza indefinito e collegato alla capacità di produrre seme.
L’applicazione contestuale consente di verificare ed adattare forma, estensione, regolarità e contiguità delle tagliate, rilasci di fasce o piccoli gruppi di altofusto (‘isole’) fino all’applicazione di tecniche di ‘selvicoltura d’albero’ [36][37] e al mantenimento di tratti in invecchiamento naturale.
Trovano poi ampio spazio nel panorama delle soluzioni colturali i ‘tipi strutturali intermedi’ tra ceduo e fustaia e le tecniche applicate in modo eterogeneo e flessibile con riferimento alle faggete centro-appenniniche [38][39]. Poi, il sistema di ‘governo misto’ in Piemonte [40] e l’autorizzazione, nella stessa Regione, a realizzare il taglio a scelta colturale in cedui di faggio oltre turno che hanno superato l’età massima prescritta per la ceduazione [41].
Sono tutte queste formalizzazioni molto recenti, sviluppo di metodi e esempi di attuazione concreta della selvicoltura [42]. Nei contributi di due Maestri, Mario Cantiani ‘Sviluppi del metodo colturale nell’assestamento forestale’ [43] e Giovanni Bernetti ‘Il trattamento a saltamacchione modificato’ [44], si ritrovano le idee iniziali di ‘colturalità e adattamento’ da cui sono maturate queste applicazioni e le altre che verranno.
La Regolazione corrente deve superare i limiti attuali, riconoscere e favorire le proposte di gestione che hanno trovato riscontro positivo nella ricerca applicata e nella sperimentazione [45].
Cessati i disturbi storici collegati al ceduo quali la raccolta del legno morto, della lettiera e della frasca per l’alimentazione del bestiame, la messa a coltura temporanea dopo l’utilizzazione, il pascolo di domestici, emerge un - nuovo per intensità - tipo di disturbo: la brucatura dei nuovi getti da parte degli ungulati. Il danno è più diffuso ed importante di quanto sia comune pensare. Casi riportati in letteratura descrivono il 40% delle ceppaie (cerro) danneggiate dal morso di capriolo al primo anno dopo il taglio che non sopravvive (86%) nei due anni di vegetazione successivi [33]. E ancora, a 11 anni dal taglio, la produzione in volume del ceduo è ridotta del 41% [46][47].
Il fenomeno è oggi molto comune, dato lo squilibrio esistente tra le popolazioni di selvatici e le superfici a disposizione. Si osservano spesso, soprattutto all’interno di aree protette, ripuliture complete di qualsiasi forma di rinnovazione naturale (agamica o da seme), come della componente erbaceo-arbustiva per le densità eccessive dei selvatici che crescono indisturbate nel perimetro di protezione. Nella prassi gestionale a regime, il disturbo si può ridurre pianificando contemporaneamente la ceduazione in aree diverse e lontane della foresta, così da offrire agli animali un pabulum il più possibile distribuito. Anche il rilascio di fascina sulle ceppaie può ostacolare la brucatura nell’immediato. Rimane comunque il problema di base dell’equilibrio ecologico da rispettare tra due risorse che devono convivere nel giusto rapporto: gli animali e il bosco. Quindi, di una riflessione urgente ed oggettiva sui fondamenti della gestione faunistica corrente e sulla necessità di correttivi [48].
Il tema della ‘conservazione’ del bosco ritorna attuale passando da una fase di post-gestione a una di gestione attiva. Il significato di ‘conservazione’ cambia tuttavia secondo il soggetto.
Applicato a una fisionomia di pregio, artisticamente ed esteticamente valida e quindi meritevole appunto di conservazione è quello di ‘mantenere la stessa integra e nel suo aspetto originale’. Esso è perfettamente applicabile a un chiostro del ‘300, a una pala d’altare del Rinascimento, a un borgo medievale.
Lo stesso concetto, applicato a una risorsa rinnovabile, quindi intrinsecamente dinamica e caratterizzata da un ciclo di vita, si modifica nell’obiettivo fondamentale di ‘perpetuare la sua esistenza’. La sua struttura varia in continuo alle diverse scale a cui si evidenziano i processi di funzionamento, pure mantenendo una fisionomia di complesso apparentemente eguale. È questo il caso del bosco che, attraverso continui scambi di energia e materia con l’ambiente, nasce, vive, muore e si rinnova.
La fase conclusiva è quella più critica e può avvenire in modo apparentemente caotico, ma perfettamente naturale e durare anche alcuni decenni. Il ruolo della selvicoltura è anche quello di accelerare le dinamiche naturali a imitazione dei suoi processi o indirizzarle verso obiettivi specifici.
La formulazione, oltre due secoli fa, delle tecniche colturali relative alle forme diverse di governo e trattamento ha tenuto in attenzione particolare la fase di rinnovazione, riconoscendola come quella maggiormente sensibile e delicata.
Le forme canoniche di selvicoltura, e tra queste il governo a ceduo che utilizza la capacità naturale delle latifoglie di rinnovazione agamica complementare a quella da seme, sono quindi funzionali all’obiettivo del ‘mantenimento della risorsa rinnovabile attraverso cicli di vita successivi ed alla sua conservazione’.
La fase terminale del bosco è quella meno osservabile nelle foreste europee coltivate da molti secoli che quindi non arrivano alla maturità fisica degli alberi. Eccezioni sono le poche foreste, o meglio tratti di foresta, cosiddetti ‘vetusti’ che per età molto avanzata, struttura somatica complessa, fasi diverse compresenti (crolli localizzati, rinnovazione naturale) richiamano una fisionomia che può approssimare i tratti originari, che tuttavia di fatto non conosciamo nei nostri ambienti anticamente abitati [13]. Il significato reale di ‘foresta vetusta’ è quindi quello di una risorsa mantenutasi in apparenza non utilizzata per molto tempo e per questo meritevole di conservazione integrale e di studio delle dinamiche in atto.
Esistono poi una serie di regimi di protezione ‘ordinari’ che comprendono nel nostro Paese quasi 2.500.000 ha della macro-categoria Bosco. La superficie prevalente (quasi 2 milioni di ettari) appartiene ai siti di Natura 2000 (SIC e ZPS) nei quali è prevista l’incentivazione delle attività produttive tradizionali e compatibili [9]. Persiste tuttavia una posizione negativa verso il governo a ceduo, sia nei criteri correntemente applicati che nelle raccomandazioni per la gestione [49]. Questo, nonostante la maggior parte delle aree protette sia formato da territori già coltivati da lungo tempo e le superfici a ceduo contribuiscano a mantenere quella diversità di ambienti alla base della varietà di habitat che hanno motivato il regime di protezione. Molti contesti tendono infatti ad omogeneizzarsi rapidamente al cessare delle pratiche colturali di uso del suolo e del bosco [50] contraddicendo, nei fatti, la motivazione stessa della protezione.
Non solo la letteratura scientifica, ma anche le iniziative internazionali dimostrano l’interesse concreto attuale per la forma di governo del ceduo.
- La Conferenza internazionale sul ceduo di Brno Coppice forests: past, present and future (2015) che ha trattato in sessioni dedicate i temi di Selvicoltura e rinnovazione, Ecologia e biodiversità, Ecofisiologia e ecologia arborea, Aspetti socio-economici, Produzione, Storia e dendrocronologia. (https://www.eurocoppice.uni-freiburg.de/intern/pdf/conf-coppice-brno/coppice-conf-brno-abstracts)
- La creazione nel 2017 della nuova Unità IUFRO 1.03.01- Traditional coppice: ecology, silviculture and socio-economic aspects. L’Unità include tutti i punti focali della gestione ed è mirata ad identificare i principi comuni ed analizzare le differenze geografiche specifiche per derivare le strategie sostenibili. (https://www.iufro.org/science/divisions/division-1/10000/10300/10301/)
- L‘Azione COST FP1301 EuroCoppice - Innovative management and multifunctional utilization of traditional coppice forests - an answer to future ecological, economic and social challenges in the European forestry sector (2013-2017) (https://www.eurocoppice.uni-freiburg.de/)
Questa Azione ha riunito 35 Paesi e prodotto un Rapporto dettagliato sul bosco ceduo in Europa che comprende il Quadro generale tra usi tradizionali e nuove prospettive, la Selvicoltura, i Prodotti e le tecniche di utilizzazione, la Conservazione e gestione nei siti Natura2000, gli aspetti di Governance, e i 35 Rapporti nazionali [51].
Le Conclusioni generali dell’Azione richiamano l’importanza del ceduo come risorsa rinnovabile per l’Europa, con un ampio potenziale per la produzione di prodotti e servizi che ad oggi sono utilizzati solo in modo parziale. La nuova coscienza della potenzialità presente insieme al mercato attuale e futuro delle biomasse rinnovabili offre l’opportunità ideale per ripristinare una gestione attiva del ceduo.
- Il progetto LIFE Future For CoppiceS (2015-18) Shaping future forestry for sustainable coppices in Southern Europe: the legacy of past management trials, (https://www.futureforcoppices.eu/it/)
Il progetto si è posto l’obiettivo di definire Indicatori specifici per questa forma di governo scelti tra quelli consolidati e altri di nuova formulazione per i 6 Criteri pan-europei di GFS (MCPFE, Vienna 2003). Si richiama quindi l’attenzione sul bosco ceduo e di origine cedua nelle diverse forme attuali di gestione, da quello a regime su turni allungati, all’avviamento ad alto fusto, all’evoluzione per via naturale e si propongono Indicatori comparativi per le diverse funzioni previste nei Criteri di GFS.
Lavoro realizzato con il contributo del progetto LIFE14 ENV/IT/000514 "Shaping future forestry for sustainable coppices in southern Europe: the legacy of past management trials"- LIFE FutureForCoppiceS.